Il patrimonio è “vissuto”, perché è fruito, di volta in volta, da chi vi si accosta, da chi lo interpreta, da chi ne rinnova lo spirito e i segni; il patrimonio è “vivente”, perché partecipa esso stesso di quella generatività che lo ha dato alla luce e lo preserva.
Dobbiamo alla riflessione museologica più recente la diffusione del concetto di “patrimonio”, che ha sostituito, almeno da una quindicina d’anni, l’accezione di “bene culturale”. Il termine “patrimonio” ben sintetizza, nel suo doppio etimo, che compendia sia pater (“il padre”) che munus (“il dono”, ma anche “il compito”), il valore memoriale dell’oggetto, non solo opera d’arte, ma anche reperto, attrezzo o sapere immateriale, in un incessante passaggio di consegne che è appunto “compito”, oltre che “dono”, ad implicare contestualmente la salvaguardia e la trasmissione, in termini di responsabilità individuale e collettiva.
Luoghi, persone e cose sono inscindibilmente legati, portatori di idee e credenze, in continua evoluzione. Un processo, lungo e complesso, ha portato al riconoscimento, a livello internazionale, dei beni cosiddetti “intangibili”.
In particolare, la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, promulgata da UNESCO nel 2003 e ratificata dall’Italia nel 2007, identifica il patrimonio immateriale nei riti e nelle arti performative, nelle pratiche sociali e nelle tradizioni orali, sollecitando l’attenzione su un approccio community-based, perché riconosciuto, appunto, dalla comunità di riferimento e, soprattutto, “vivente”, a ribadire non solo la continuità nel presente di una determinata tradizione, ma anche il valore processuale del patrimonio.
Il patrimonio immateriale è «un patrimonio “incorporato”, la sua materia è il corpo umano» (Lucia Gasparini, 2014), perché è attraverso gli uomini che ne viene assicurata la trasmissione e garantita la memoria.
I patrimoni “viventi” sono le cose, ma anche le persone che, giornalmente, incontrano Teresina e il suo lascito, materiale e immateriale, ne garantiscono la memoria, in un processo che lo vivifica, di volta in volta, attraverso gli sguardi e le parole di chi lo racconta. Il patrimonio siamo “noi”, oggi e domani.
Segnaliamo alcuni progetti dedicati al tema della relazione tra patrimonio culturale e persone con demenza.
L’iniziativa si è svolta dal 2007 al 2014 ed è stata finanziata dalla MetLife Foundation. Durante questo periodo, il personale del MoMA ha ampliato i programmi educativi esistenti per le persone affette da Alzheimer, sviluppando risorse di formazione destinate agli operatori artistici e sanitari su come rendere l’arte accessibile alle persone affette da demenza.
Immagine dalla pagina web MoMA | Meet me
A più voci, ha come obiettivo principale quello di rendere le mostre di Palazzo Strozzi accessibili alle persone che vivono la condizione della demenza insieme alle persone che se ne prendono cura. Il progetto si basa su un approccio che vede nella relazione lo strumento principale per guadagnare in termini di qualità della vita, facendo riferimento all’approccio capacitante di Pietro Vigorelli, alla Validation di Naomi Feil e alla “Gentle care” di Moyra Jones.
I musei toscani propongono da anni programmi dedicati alle persone che vivono con l’Alzheimer. Il Sistema Musei Toscani per l’Alzheimer nasce con l’intenzione di coordinare e intensificare la loro azione. Tutti i programmi si considerano parte di un progetto complessivo, fondato su un’idea di museo come istituzione culturale inclusiva; e su un’idea di demenza, piuttosto che come una malattia, come una condizione, che coinvolge non solo la persona con demenza, ma anche chi la accompagna e sostiene in questa sfida.
Immagine dalla pagina web Musei Toscani per l’Alzheimer
Immagine dalla pagina web Arts for dementia
In collaborazione con artisti e organizzazioni culturali, sostiene, promuove e realizza attività artistiche stimolanti per le persone che vivono le prime fasi della demenza. L’obiettivo è quello di migliorare profondamente il benessere sfruttando le capacità creative che rimangono attive per anni dopo la diagnosi.
Il programma è rivolto a persone che si occupano di chi soffre di perdita di memoria: formatori per adulti, personale sanitario, familiari e parenti, volontari e personale educativo in musei e archivi. “Con il progetto vogliamo ampliare le competenze necessarie e trasmettere abilità che dovrebbero aiutare nel quotidiano a gestire persone affette da demenza”, aggiunge l’assessora ai servizi sociali Maria-Louise Hinterauer. L’obiettivo del progetto è sviluppare un programma educativo innovativo per adulti, rivolto a professionisti e familiari che assistono persone affette da queste malattie.
Immagine dalla pagina web Dornbirn Stadtarchiv Presseaussendung: Digitales Gedächtnistraining für Menschen mit Demenz. ©Pexels
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